lunedì 1 novembre 2010

Generi inesplorati: l’Apocalyptic Anarcho-Metal


Sono già noti alcuni momenti musicali descrivibili come “punk apocalittico”, un’estremizzazione distopica del “no future” dei Sex Pistols. Già il cosiddetto “crust” è radicato in questi contenuti. Ma anche brani come “War” o “Troops of Tomorrow” degli Exploited hanno contribuito a definire questo suono, oltre ai Discharge prima della svolta metal (e il primo Bauhaus, sebbene flirti con la nascente corrente gotica, non rappresenta il lato funebre-sacrale-rituale di questa corrente, con le sue schitarrate tutt’altro che new wave?).

Tra queste sonorità e il lato più vicino del metal (i Kreator di “Pleasure to kill”, i primi Voïvod, i Venom di “Welcome to hell” e “Possessed”), c’è un filone indubbiamente punk nelle origini, con atmosfere e contenuti vicini al suo lato apocalittico, ma che, pur non portandoli a perfetto compimento, ha chiari intenti metal: riff thrash o hard rock, struttura articolata delle canzoni, lunghe parti acustiche e spesso un immaginario fantastico-demoniaco, pur virato alla metafora sociale.

Un classico di questo suono ibrido è il disco che ha allontanato i Discharge dal pubblico punk, “Grave New World”. Qualcuno parlò di glam, i soliti ignoranti che non distinguono i Black Sabbath dai Motley Crue. Se i riff sono spesso hard rock, questo aggiunge solo un’intrigante connotazione “viziosa” a una musica opprimente, cupa, a una distorsione inaudita, a una struttura delle canzoni scarna, ossuta, a un cantato che è un grido lancinante, che gli Overkill o i Cirith Ungol, stretti nelle geometrie metal, non hanno mai raggiunto. Gli Atom God, invece, producono un punk-thrash articolato (ma non meno marcio), progressivo, apocalittico: inedito e interessantissimo. Ma il classico più nascosto, il disco che ha reso urgente l’etichetta di anarcho-metal apocalittico, è l’introvabile “The Progeny” dei britannici Speculum (Noise, 1987), una sorta di versione metal degli Amebix, o di versione punk dei primi Celtic Frost, altrettanto satanica ma dove il tutto è una chiara metafora dell’Inghilterra thatcheriana.

Generi inesplorati: il Doom-Thrash


Se tutte le volte che ascoltate l’attacco di “Am I Evil” dei Diamond Head o di “Angel of Death” degli Angel Witch vi chiedete se quei riff siano più un furto dai Sabbath o un’anticipazione del thrash, avete colto il nucleo di questo post. Il legame tra i Black Sabbath e il thrash, d’altra parte, emerge chiaramente dal fenomeno dei dischi thrash contenenti tributi ai Black Sabbath, che meriterebbe un approfondimento maggiore del mero elenco che possiamo fare qui (Exhorder, Deathwish, Venom, Mekong Delta...). Ma c’è un legame più “fraterno” da esplorare, sebbene quello “filiale” appena esposto possa aiutare ad evidenziarlo: quello del thrash con le atmosfere cupe, sulfuree, che lo avvicinano all’estetica, ai contenuti e alle caratteristiche musicali del doom.

Questo territorio musicale non è ignoto ad alcuni grandi classici. Gli Slayer, per spalancarci le porte dell’inferno con “South of Heaven” e “Seasons in the Abyss”, preferiscono toni sabbathiani alla consueta velocità sterminatrice. Gli Overkill su “The Years of Decay” assumono spesso sonorità epic-doom, con Blitz che ricorda la sgraziata magniloquenza di Tim Baker. I Sabbat, con il terzo, sottovalutato persino dalla band, “Mourning has broken”, fondono power e doom, con Ritchie Desmond che incarna un doppio convincente, persino più drammatico, di Messiah Marcolin. I Celtic Frost fondono thrash e doom (e altri generi) già in alcuni momenti dei vecchi capolavori, ma soprattutto nel loro immenso testamento “Monotheist”.

Tra i gruppi meno fortunati, i Sacrilege, da quel sottobosco britannico variamente etichettato come thrash, hardcore o crust, sfornano un disco doom come “Turn Back Trilobite”. “Demon Preacher” dei Deathwish rappresenta un classico del doom-thrash soprattutto per le atmosfere e le tematiche sviluppate. Anche i Sarcofago alternano thrash e doom in “Nightmare”. Ma il gruppo che si è consacrato a queste sonorità ibride (forse non tali per loro) sono i Neptuno. Il loro “Wars of the Undersea” (Cogumelo, 1985) anticipa in qualche modo le atmosfere del “funeral doom”, ma i brani hanno una struttura e dei riff di chiaro stampo thrash. Se mai esiste una musica che ricorda un 45 giri dei primi Venom rallentato a 33, forse più di Tom G. Warrior questi brasiliani sono riusciti nell’intento di registrarla.