lunedì 23 maggio 2011

Il Dio Senza Testa


Spegnere l'autoradio, sfilarne la mascherina, e sentire gli altoparlanti accendersi nuovamente e declamare i versi: «North, south, east and west / My bones lay all around / My shadow will soon get rest / to higher ground I'll be bound / In the temple of the dead». Guardare questo automa senza testa che si rifiuta di morire, sentire lo spirito delle strofe impossessarsene, in una preghiera cieca, senza direzione. Vengono in mente i racconti di certi padri del medioevo patriarcale su polli che continuano a correre dopo avergli tagliato il collo o su ciclisti a cui un oggetto lanciato dall'esplosione di un bombardamento ha improvvisamente staccato la testa, e per qualche metro continuano a pedalare. Apparenti incidenti che sono in realtà incarnazioni istantanee del Dio Senza Testa, sue manifestazioni che offrono la possibilità non tanto di salvarsi ma di elevarsi spiritualmente adorandolo. L'incarnazione cyborg di Mike il pollo oggi può essere perfino un'autoradio, se essa veicola le preghiere dei Candlemass.

sabato 7 maggio 2011

Romanticismo tedesco


Questi tedeschi fanno parte della schiera delle creature più delicate dell’heavy metal, più romantiche che guerresche, più sentimentali che violente. Ma non si tratta di una schiera di angeli, almeno in questo caso, perché, tra influenze classiche e tematiche fantastiche, gli Stormwitch mantengono quasi sempre un certo alone oscuro, per quanto entro i limiti di un hard’n’heavy anni ’80. Come dei Magnum meno cantastorie e più reticenti, come dei Demon con quel gusto melodico tutto tedesco, come dei Blind Guardian con Dave Holland alla batteria, gli Stormwitch riescono a unire un alone magico e misterioso a ritornelli melodici e orecchiabili, e cantano in modo più che credibile “When the Night is Falling / I Can Hear Them Calling / I Can Hear Them Calling Me / In the Darkness I See Paradise / In the Night I Find My Way”.

D’altra parte tutto questo è coerente con il loro nome - la strega della tempesta - che nel caso di “Eye of the Storm” si richiama vicendevolmente con il titolo e la copertina, che raffigura una strega intenta a liberare una tempesta da un magico cubo luminoso che, da uno scoglio sul mare, protende verso il cielo, guardandolo intensamente. Puro romanticismo tedesco. Il buffo rock’n’roll di “Tattered and Feathered” non sarà la cosa più azzeccata del disco, ma la già citata “Paradise”, il coro finale di “Steel in the Red Light” (ma quante voci sono?), la mozartiana marcia turca, “King in the Ring” e diversi altri momenti possono crearvi seria dipendenza, oltre a farvi passare qualche sana mezzora in territori fantastici, magici, ancora inesplorati, tratteggiati con delicati ma misteriosi affreschi. Il gruppo è attivo, riformato dal 2002. Lunga vita agli eroi!

lunedì 1 novembre 2010

Generi inesplorati: l’Apocalyptic Anarcho-Metal


Sono già noti alcuni momenti musicali descrivibili come “punk apocalittico”, un’estremizzazione distopica del “no future” dei Sex Pistols. Già il cosiddetto “crust” è radicato in questi contenuti. Ma anche brani come “War” o “Troops of Tomorrow” degli Exploited hanno contribuito a definire questo suono, oltre ai Discharge prima della svolta metal (e il primo Bauhaus, sebbene flirti con la nascente corrente gotica, non rappresenta il lato funebre-sacrale-rituale di questa corrente, con le sue schitarrate tutt’altro che new wave?).

Tra queste sonorità e il lato più vicino del metal (i Kreator di “Pleasure to kill”, i primi Voïvod, i Venom di “Welcome to hell” e “Possessed”), c’è un filone indubbiamente punk nelle origini, con atmosfere e contenuti vicini al suo lato apocalittico, ma che, pur non portandoli a perfetto compimento, ha chiari intenti metal: riff thrash o hard rock, struttura articolata delle canzoni, lunghe parti acustiche e spesso un immaginario fantastico-demoniaco, pur virato alla metafora sociale.

Un classico di questo suono ibrido è il disco che ha allontanato i Discharge dal pubblico punk, “Grave New World”. Qualcuno parlò di glam, i soliti ignoranti che non distinguono i Black Sabbath dai Motley Crue. Se i riff sono spesso hard rock, questo aggiunge solo un’intrigante connotazione “viziosa” a una musica opprimente, cupa, a una distorsione inaudita, a una struttura delle canzoni scarna, ossuta, a un cantato che è un grido lancinante, che gli Overkill o i Cirith Ungol, stretti nelle geometrie metal, non hanno mai raggiunto. Gli Atom God, invece, producono un punk-thrash articolato (ma non meno marcio), progressivo, apocalittico: inedito e interessantissimo. Ma il classico più nascosto, il disco che ha reso urgente l’etichetta di anarcho-metal apocalittico, è l’introvabile “The Progeny” dei britannici Speculum (Noise, 1987), una sorta di versione metal degli Amebix, o di versione punk dei primi Celtic Frost, altrettanto satanica ma dove il tutto è una chiara metafora dell’Inghilterra thatcheriana.

Generi inesplorati: il Doom-Thrash


Se tutte le volte che ascoltate l’attacco di “Am I Evil” dei Diamond Head o di “Angel of Death” degli Angel Witch vi chiedete se quei riff siano più un furto dai Sabbath o un’anticipazione del thrash, avete colto il nucleo di questo post. Il legame tra i Black Sabbath e il thrash, d’altra parte, emerge chiaramente dal fenomeno dei dischi thrash contenenti tributi ai Black Sabbath, che meriterebbe un approfondimento maggiore del mero elenco che possiamo fare qui (Exhorder, Deathwish, Venom, Mekong Delta...). Ma c’è un legame più “fraterno” da esplorare, sebbene quello “filiale” appena esposto possa aiutare ad evidenziarlo: quello del thrash con le atmosfere cupe, sulfuree, che lo avvicinano all’estetica, ai contenuti e alle caratteristiche musicali del doom.

Questo territorio musicale non è ignoto ad alcuni grandi classici. Gli Slayer, per spalancarci le porte dell’inferno con “South of Heaven” e “Seasons in the Abyss”, preferiscono toni sabbathiani alla consueta velocità sterminatrice. Gli Overkill su “The Years of Decay” assumono spesso sonorità epic-doom, con Blitz che ricorda la sgraziata magniloquenza di Tim Baker. I Sabbat, con il terzo, sottovalutato persino dalla band, “Mourning has broken”, fondono power e doom, con Ritchie Desmond che incarna un doppio convincente, persino più drammatico, di Messiah Marcolin. I Celtic Frost fondono thrash e doom (e altri generi) già in alcuni momenti dei vecchi capolavori, ma soprattutto nel loro immenso testamento “Monotheist”.

Tra i gruppi meno fortunati, i Sacrilege, da quel sottobosco britannico variamente etichettato come thrash, hardcore o crust, sfornano un disco doom come “Turn Back Trilobite”. “Demon Preacher” dei Deathwish rappresenta un classico del doom-thrash soprattutto per le atmosfere e le tematiche sviluppate. Anche i Sarcofago alternano thrash e doom in “Nightmare”. Ma il gruppo che si è consacrato a queste sonorità ibride (forse non tali per loro) sono i Neptuno. Il loro “Wars of the Undersea” (Cogumelo, 1985) anticipa in qualche modo le atmosfere del “funeral doom”, ma i brani hanno una struttura e dei riff di chiaro stampo thrash. Se mai esiste una musica che ricorda un 45 giri dei primi Venom rallentato a 33, forse più di Tom G. Warrior questi brasiliani sono riusciti nell’intento di registrarla.

sabato 30 ottobre 2010

Black metal come ci piace: ideologico e violento


I framfvgiwyf yrrrtdgbwv (nell'immagine il logo del gruppo) sono un gruppo black-M frastensese. Il cantante @# – barba lunga e faccia tatuata – ha la caratteristica di fagocitare acqua e aria compressa da scaldabagni e turbine industriali che vengono messi in funzione dai loro roadie, una squadra di periti capotecnici – tutti travestiti da lupi mannari – che svolgono le classiche funzioni di manovalanza ma anche musicali, nelle ormai tipiche canzonette che intrattengono il pubblico tra un atto e l'altro dei concerti dei frammfagavof yrrrrt., davanti al sipario chiuso. Al termine dell'inghiottimento, @§ inizia a vomitare tutto quello che ha nello stomaco e a gridare sillabe sconnesse nel microfono (debitamente impermeabilizzato per evitare incidenti elettrici).

@° è dislessico ed è il suo manager, che ha una relazione intima con lui fin dai suoi primissimi anni di vita, a occuparsi della traduzione in pubblico dei suoi suoni sconnessi. Non è chiaro se capisca il suo linguaggio o se ne interpreti la mimica e la gestualità; sappiamo solo che lo ha assistito anche durante tutti gli anni della scuola dell'obbligo. A detta del manager, le liriche e l'atteggiamento generale del gruppo riflettono la loro violenta ideologia contro fhwhvhplslo jhoihf jhh èqè e l'idea dell'annullamento ouoiwloà oiju che però non possono risultare comprensibili al pubblico – né tramite le parole né tramite atteggiamenti eteroviolenti – a causa dell'estremo autismo di tutti i componenti del gruppo che fa sì che essi compiano gesti autolesionisti o sprofondino più spesso in uno stato di totale atarassia, nonostante la capacità di suonare resti immutata.

Il manager vive in una villa nel bosco nei dintorni della capitale frastensese, nei sotterranei della quale vivono i componenti della band, nutrendosi di quello che riescono a cacciare a mani nude.

martedì 5 ottobre 2010

Isteria collettiva giustificata


Hysteria ha qualcosa dell'ambient. Un ambient creato a partire da materiale musicale hard rock, naturalmente. C'è qualcosa di sfuggente, effimero, che si dilata nell'ascolto e ci immerge in sonorità spaziali, morbide. Le ballate non sono semplicemente ballate; i brani pop non sono semplicemente orecchiabili. Zuccheroso, sì, ma sostenuto. Drammatico, quasi. Sognante. Nasce col preciso intento di essere super commerciale, di diventare il "Thriller" dell'hard rock. Ma non è un compito imposto. Lo si sente, quanto è ispirato. I ritornelli catchy evidentemente erano la vera natura dei giovani eroi, pochi anni prima, della NWOBHM. Quasi progressivo, in un senso molto lato, per l'impossibilità di poter davvero indovinare, ogni singolo pezzo, come proseguirà: mai scontati, mai banali, pieni di piccole - ruffiane, sì - sorprese. Di piccoli, lievi tocchi, sussurri, note lievi nell'aria, così lievi che solo chi abbia suonato e scritto musica ben più heavy, e ben più tecnica, può essere capace, può avere il gusto, di creare.

Capelli cotonati, suoni di plastica, tastiere, ritornelli orecchiabili, coretti "uoh uoh": chi ha detto che sono stati la rovina dell'heavy metal? Questo è il miglior chill out - ma quello di qualità, scientifico - dopo esser stati esposti all'ascolto ripetuto, che so io, di un classico dei Candlemass, dell'ultimo Slough Feg, di una mazzata degli Overkill. Anche se molti puristi "leather & spikes" non saranno d'accordo. Ma è giusto così.

P.S. Garanzia di qualità: la title track è la quarta del lato B.

venerdì 9 luglio 2010

Le radici profonde non gelano

“Le radici profonde non gelano. - spiegò Samvise a Frodo - Per questo si scava una buca di circa due metri, ci si getta dentro un bel po’ di concime, con poca terra, e sopra si piantano questi fiori. Nel concime le radici dovrebbero crescere molto in profondità, e così, sopravvivendo all’inverno, l’estate prossima avrà le finestre ricolme di questi fiori profumati. La metteranno di buon umore, signor Frodo!”
“Sei molto caro, Sam. Ma tutto quel concime non porterà cattivo odore?”
“Oh, no! Ci sarà terra in abbondanza sopra. Mi creda, non lo farei se solo ci fosse questa possibilità! Sarà un lavoretto ben fatto, come quelli del vecchio Gaffiere, signore.”
“Come quelli del Gaffiere”, ripeté Frodo, con un velo di malinconia che, come spesso ormai capitava, gli si era impadronito all’improvviso dello sguardo e della voce. Pensare al Gaffiere gli aveva fatto venire in mente lo zio Bilbo, e la spensieratezza degli anni delle sue prime avventure. Quando una buona boccata di erba pipa e una tazza di tè erano sufficienti a metterlo di buon umore. E quando lui non era ancora uscito dai confini della sua cara, verde, pacifica Contea.